L’EUROPA AL BIVIO

SALARI, CRESCITA E OCCUPAZIONE di Luca Visentini*

– Il discorso sullo Stato dell’Unione pronunciato lo scorso 14 settembre dal Presidente della Commissione europea Juncker di fronte al Parlamento Europeo ha riacceso il dibattito politico sul futuro dell’Unione Europea, dopo le secche della Brexit e dell’emergenza-rifugiati. A questo ha fatto seguito il summit dei capi di stato e di governo a Bratislava dove, nonostante i risultati molto deludenti, si è dato l’avvio a una roadmap per futuro dell’Europa, che porterà all’adozione di una sorta di Libro Bianco in occasione del nuovo vertice che si terrà a Roma il 25 marzo 2017, in occasione del sessantesimo anniversario del Trattato di Roma, che diede inizio alla Comunità Economica Europea, prodromo dell’Unione.

L’Europa sta vivendo un autunno piuttosto caldo sotto numerosi punti di vista. Questi mesi sono fondamentali per capire se dopo la Brexit, l’UE sarà capace di vincere le sfide che ha di fronte a sé. Se sarà finalemente capace di abbandonare le politiche di austerità – che hanno sonoramente fallito – e di mettere in campo interventi significativi a favore della crescita, dell’occupazione e della solidarietà sociale.

Se il discorso di Juncker ha posto in campo alcuni elementi positivi e condivisibili, quali l’aumento della dotazione del piano d’investimenti e il richiamo ad una maggiore solidarietà tra i paesi membri, il sindacato europeo non ha ancora visto nelle parole del Presidente della Commissione europea la svolta di cui l’UE ha bisogno. Il recente summit di Bratislava ne é la prova più lampante. Le divisioni hanno prevalso nettamente sulla coesione e nessuna decisione di svolta é stata adottata su temi cruciali quali occupazione, crescita e crisi dei rifugiati. L’Europa sta lentamente scivolando su un piano inclinato, senza che chi ne é alla guida faccia qualcosa di concreto per invertire la tendenza. Il mantenimento dello status quo prevale su di una visione a lungo termine.

Il sindacato europeo ribadisce il proprio impegno in prima linea nel far cambiare la rotta e si batte per promuovere le sue proposte di cambiamento. Il rilancio degli investimenti é fondamentale. Senza di essi, non si puo’ chiudere il doloroso capitolo della crisi economica e creare nuova occupazione di qualità. Gli investimenti devono prendere il posto della pura disciplina di bilancio e dei tagli. Il rilancio della nostra economia passa al contrario da maggiori investimenti pubblici destinati a importanti progetti europei per le instrastrutture, l’innovazione, la ricerca, la formazione, migliori e più efficienti servizi sociali, la transizione verso l’economia digitale e un’industria più “verde” e al passo con i tempi. Questi obiettivi di lungo termine non potranno essere raggiunti solo con investimenti privati. Questo é un punto che la Confederazione europea dei sindacati ribadisce da lunga data. La creazione di posti di lavoro duraturi e la crescita dell’economia su basi solide puo’ avvenire solo grazie ad un cospicuo investimento pubblico su scala europea.

Per ottenere questo essenziale risultato è tempo di invertire la retorica anti-pubblica che è stata alla base dell’ideologia neoliberista e turbo-capitalista che ha distrutto i fondamenti della nostra economia sociale di mercato, dopo aver spazzato via la potenza industriale dell’Europa con una globalizzazione non governata. Ci è stato spiegato per anni che tutto ciò che è pubblico è male, che la crisi traeva origine dai bilanci pubblici e non dalla bolla speculativa e dal salvataggio delle banche, che i servizi pubblici andavano privatizzati e che i lavoratori pubblici erano dei parassiti. Ma questa ricetta ha sortito il solo effetto di deprimere gli investimenti, aumentare i debiti pubblici, far esplodere le diseguaglianze e far crollare la competitività complessiva delle nostre economie.

Al contrario, le recenti analisi di istituzioni internazionali quali il FMI e l’OCSE dimostrano in modo incontrovertibile come le diseguaglianze e la mancanza di redistribuzione della ricchezza fanno lievitare la spesa pubblica, mentre per un incremento degli investimenti pubblici pari allo 0,50% del PIL, questo cresce dello 0,60% mentre il debito pubblico cala dello 0,40%. Gli investimenti pubblici generano crescita e diminuiscono l’indebitamento.

Ma è evidente che per consentire agli stati di investire, è urgente una revisione del Patto di Stabilità e Crescita e delle regole di governance economica. L’introduzione della cosiddetta ‘regola d’oro’, che consenta di scorporare gli investimenti dal Patto di Stabilità, è l’unico modo per sostenere progetti nei campi delle infrastrutture, della ricerca e innovazione, dell’educazione e formazione, della protezione sociale. E c’è anche bisogno di progetti di investimento transnazionali in questi ambiti, che possono essere finanziati solo dall’Unione Europea attraverso strumenti come la Banca Europea degli Investimenti, un bilancio europeo fiscalmente autonomo e svincolato dalla contribuzione degli stati, una Tesoro da crearsi nell’Eurozona per reagire agli stock macroeconomici e difendere la moneta unica.

Un ulteriore elemento – che é parte integrante della nostra visione a lungo termine – é la necessità di rilanciare i consumi. E’ un dato di fatto che l’economia europea, per più di due terzi, si basa sulla domanda interna. Per questa ragione riteniamo che in tutti i paesi dell’UE i salari debbano aumentare. Salari che da anni sono in ritardo rispetto agli incrementi della produttività. Persino in paesi come l’Italia, con basse dinamiche di crescita della produttività, i salari sono rimasti indietro. E questo ha creato una depressione del mercato interno, con conseguenze negative sulla crescita e sulla sostenibilità del debito e dei sistemi di welfare.

Un aumento salariale su larga scala gioverebbe all’economia europea, contribuendo al tempo stesso a rafforzare la giustizia sociale e a ridurre le iniquità, che hanno un costo enorme in termini di spesa pubblica, che potrebbe altrimenti andare agli investimenti. E accanto ad un aumento salariale che allinei le dinamiche dei redditi alla produttività, si rende necessario anche un ulteriore percorso di convergenza verso l’alto, che consenta di ridurre il divario di retribuzione che tuttora persiste tra i paesi orientali ed occidentali dell’Unione, combattendo di fatto il dumping sociale e riducendo gli squilibri macroeconomici.

Il sindacato europeo é risoluto a raggiungere questo obiettivo tramite gli strumenti della negoziazione collettiva, del dialogo sociale e delle relazioni industriali, lanciando un grande campagna europea per più salari e meno diseguaglianze. Il rafforzamento della contrattazione collettiva, dove funziona ma soprattutto dove è stata smantellata o indebolita e dove non esiste affatto, è la priorità massima di un sindacato che voglia governare le trasformazioni dell’economia e del mercato del lavoro e costruire un futuro di prosperità e coesione sociale. È per tutte queste ragioni che la CES ha lanciato una grande campagna a livello europeo per la crescita dei salari, la convergenza salariale e il rafforzamento della contrattazione collettiva.

I temi della crescita sostenibile e della coesione sociale sono centrali anche a livello politico nel dibattito sul futuro dell’Europa. Se si guarda ai risultati del referendum inglese, così come di alcune recenti elezioni regionali in Germania, i territori dove ha prevalso la Brexit, o i partiti populisti e xenofobi, non sono quelli a maggiore presenza di immigrati, ma quelli in cui più grave è la disoccupazione, la povertà, l’esclusione sociale, quelli dove gli effetti della globalizzazione non governata sono stati più feroci.

Questo ci fa capire due cose. Che l’Europa deve completamente modificare il proprio approccio rispetto alla mobilità interna e all’immigrazione, inclusa quella dei rifugiati, adottando una politica di responsabilità e solidarietà basata su integrazione e parità di trattamento. L’approccio unicamente securitario che l’Europa sta perseguendo per far fronte alla sfida dei migranti è inaccettabile, ma anche controproducente. Non solo non possiamo accettare che il controllo dei confini sia considerato prioritario rispetto al dovere umano e morale di salvare vite umane, accogliere e riallocare le persone che hanno bisogno e difficoltà ed integrarle nella società e nel mercato del lavoro; ma vediamo anche chiaramente che questa strategia non aiuta a far calare la tensione o a far prevalere le forze democratiche su quelle razziste. È necessario costruire una nuova narrativa, capace di fornire risposte e opportunità positive ed eque a tutti, cittadini europei, lavoratori in mobilità, immigrati e rifugiati.

L’altra lezione che dobbiamo ricavare da questi esiti elettorali è che finchè non si esce dalla crisi e non si offrono opportunità migliori di lavoro e di protezione sociale a tutti, le forze xenofobe e populiste continueranno a prosperare. Abbiamo bisogno di un’Europa che protegga, che sia al servizio dei cittadini, come ha detto il Presidente Juncker nel suo discorso al Parlamento.

E’ per questo che noi insistiamo sulla necessità di rilanciare la dimensione sociale dell’UE. Il sindacato europeo ha salutato e sostenuto l’operato della Commissione Juncker in materia di  lotta al dumping sociale e promozione della libera circolazione dei lavoratori su basi di equo trattamento tramite la revisione della direttiva sul distacco dei lavoratori. Ora é il momento di uno scatto in avanti per il cosidetto Pilastro Europeo dei Diritti Sociali, un’iniziativa lanciata proprio dell’attuale presidente Juncker. Per la CES, questo non deve tradursi in una mera lista di buoni propositi, bensi deve essere la base per l’avvio di proposte concrete atte a migliorare sensibilmente le condizioni di vita e di lavoro di milioni di europei.

Sussidi di disoccupazione degni di questo nome, sistemi diffusi di reddito minimo, migliori sistemi pensionistici pubblici, una protezione sociale al passo con i tempi, garanzie per i giovani e per le competenze, una libera circolazione dei lavoratori equa e la portabilità dei diritti, sono aspetti che possono davvero cambiare positivamente la vita delle persone. L’iniziativa non puo’ tradursi in un fallimento. Ne va del futuro dell’unione. Del suo futuro politico, economico e sociale.

Il modello sociale europeo, la nostra economia sociale di mercato, i valori della pace della prosperità diffusa e della giustizia sociale: questi sono le radici del progetto europeo, non un semplice somma di trattati commerciali, ma una idea di futuro migliore. È per questi valori messi in pratica in decenni di conquiste, che il mondo ancora invidia l’Europa come il posto migliore dove vivere. È i paesi europei dove la qualità della vita è più alta e l’economia va meglio non sono quelli che hanno smantellato il modello sociale, bensì quelli dove più forti sono il welfare, il dialogo sociale, le relazioni industriali.

L’Unione Europea è l’esempio di maggior successo di cooperazione internazionale volontaria, democratica e di lunga durata al mondo. Qualcosa che vale la pena di salvare e rilanciare. Ma occorre un’azione urgente, con leader in grado di capire che un’autentica cooperazione con una prospettiva sociale a lungo termine è meglio di un populismo a breve termine. L’UE ha bisogno di un’iniezione di democrazia ed equità. Il sindacato propone strategie concrete per fronteggiare queste sfide. Esortiamo i governi e le istituzioni dell’UE a fare altrettanto e a essere ambiziosi. Li esortiamo a coinvolgerci, perché noi siamo pronti a fare la nostra parte e non ci tireremo mai indietro.

  • Segretario Generale Confederazione Europea dei Sindacati (CES)