Che fare, oggi, contro l’isis ? Come difendersi ?
Nel tentativo di portare un contributo alla soluzione del problema del quale Cancellerie e servizi segreti di mezzo mondo non riescono a trovare uno straccio di accordo che funzioni, occorrerebbe, per prima cosa, considerare che il cosiddetto stato islamico si considera in guerra contro gli “infedeli” dell’ l’intero pianeta, in particolare dell’occidente. E quindi guerra ad oltranza, soprattutto contro gli islamiti che non la pensano come loro e che, a ben guardare, sono le principali vittime del loro ossessivo fanatismo.
Ciò detto occorrerebbe a questo punto andare a ritroso del tempo, a cominciare dagli anni ‘70 e storicizzare – a titolo di esempio – l’oscuro periodo che vide come protagonisti la Baader-Meinhof della Armee Fraktion in Germania, sino ad arrivare alle nostre Brigate Rosse.
Entrambe furono sconfitte nei modi tradizionali, ma soprattutto grazie al loro mancato radicamento con la classe operaia da loro invano ricercato e mai trovato.
Il problema che oggi si pone è, però, diverso e punta in maniera diretta non alla “differenza” delle classi sociali, bensì alla “differenza” religiosa di gran lunga più insidiosa e pericolosa, in particolar modo nel mondo della emarginazione giovanile islamita in buona parte ignorato dalle classi dirigenti europee. A tutto questo si aggiunge, oggi, il risvegliarsi di un razzismo di ritorno negli Usa, anch’ esso sicuramente manovrato dal Califfo Al-Baghdadi, per non parlare di ciò che sta accadendo nella Turchia mussulmana di Erdogan. E quindi, giunti a questo punto, ci si deve considerare in guerra, come dice Francoise Hollande, oppure no ? Secondo me lo siamo e quindi occorrerà prepararci ad affrontarla in maniera del tutto particolare ed impedire, principalmente, l’azione indiscriminata dei vari gruppi e sotto-gruppi che hanno commesso le stragi di questi ultimi tempi.
Un possibile deterrente che potrebbe rivelarsi utile sarebbe – secondo me – quello di rispedire al loro Paese di origine, indipendentemente dalla loro nazionalità eventualmente acquisita, tutte le famiglie dei terroristi suicidi. In questo modo il candidato suicida saprebbe anzitempo del grave nocumento che produrrebbe la sua morte e potrebbe pensarci molto bene prima di farsi esplodere o commettere qualsiasi altro tipo di strage. Risulta chiaro che una siffatta operazione si scontrerebbe platealmente con le regole di uno stato di diritto, ma risparmierebbe molte vite del tutto innocenti….
Ricordo, in proposito, che alla fine degli anni ’70, l’ On.le Ugo La Malfa, si permise, in Parlamento, di proporre il ripristino della pena di morte prevista dal Codice Militare avendo le B.R. dichiarato guerra allo Stato Italiano dopo aver ucciso l’On.le Aldo Moro, nonché decine e decine di Magistrati, Carabinieri e Forze dell’Ordine in generale.
La proposta venne, però, a mio parere, vigliaccamente respinta.
Ricordo, altresì, che dopo Pearl Harbor, gli USA di Franklin Delano Roosevelt “ci misero un niente” ad internare 110.000 cittadini di etnia giapponese di nazionalità americana, in veri e propri campi di concentramento sparsi sul suo territorio.
Sarà pure vero che niente è più corrivo della passione politica derivante particolarmente dalle differenze religiose, ma resto sempre più convinto che la mia proposta – contributo, potrebbe quantomeno limitare il numero degli aspiranti suicidi. Il problema vero, secondo me, rimane quello di promulgare o regolamentare (non sono, ovviamente, un giurista) una norma che lo permetta, avuto riguardo del fenomeno che, a mio parere, è destinato a crescere, non certo a regredire. Indugi o esitazioni ci potrebbero costare molto cari né ci possiamo illudere che solo la nostra “bella Italia” possa essere risparmiata dal pseudo Califfo Al Baghdadi. A mio modestissimo parere, il “Califfo” ci considera come una sorta di trampolino di lancio, di retrofronte logistico che – come tale – deve essere lasciato, per ora, in pace onde poter lentamente destabilizzare il cuore del mondo occidentale, ovvero l’intera Europa, Italia compresa.
Beppe Grossi