L’INFLUENZA DI GIUSEPPE MAZZINI SUL PENSIERO E L’AZIONE DI CARLO E NELLO ROSSELLI
di Marco Marinucci*
– Marco Marinucci, mazziniano e nostro grande amico, è un giovane e valente studioso delle democrazie radicali dell’ Ottocento ed in particolare del movimento repubblicano. Si è occupato di consulenza e ricerca storica in ambito televisivo. E’ l’autore, tra l’altro, con il prof. Gian Mario Cazzaniga, della originale ricerca “Per una Storia della Carboneria dopo l’ Unità d’Italia” – Quaderni degli Accademici Incolti – Gaffi Ed. 2014.
Egli continua anche ad alimentare e formare , nei periodici incontri con i mazziniani e “carbonari” dell’ Alcras di Testaccio in Roma, la spiritualità mazziniana ed il nostro impegno politico e sociale, e noi gliene siamo profondamente grati, così come lo ringraziamo per questo interessantissimo contributo su un tema che ha visto, peraltro, impegnati qualificati esponenti e cultori del movimento repubblicano e democratico.
Quando, nel 1926, per Carlo Rosselli si aprirono le porte del carcere di Massa e poi di Como, l’ideologo del socialismo liberale, avrebbe probabilmente sentito come non mai, tanto fisicamente, quanto idealmente, quel legame profondo, travalicante le barriere del tempo e dello spazio, da sempre presente tra la sua famiglia e la figura di Giuseppe Mazzini:
Sento oggi – scriveva nell’agosto del 1927, questa volta dalla sua cella di Savona, imprigionato per la fuga di Turati – con sicura coscienza che la mia modesta azione si ricollega, per lo spirito che la informa, a quelle dei grandi che combatterono per l’indipendenza italiana. Mi è di conforto e di riprova pensare che questa sostanziale continuità che io rivendico tra la lotta d’oggi e quella di ieri, trova un caratteristico riscontro nella storia della mia famiglia. Un Rosselli ospitava nascostamente a Pisa Mazzini morente, esule in Patria. Era logico che un altro Rosselli, a mezzo secolo di distanza, provvedesse a salvare dalla furia fascista uno degli spiriti più nobili e più disinteressati del paese.
In effetti l’episodio ricordato dall’antifascista ripropone l’intenzione dello stesso di farsi anello, ricalcando le orme di Pellegrino e Giannetta Rosselli, nonché di Sara Nathan, di una stessa, ininterrotta catena, cominciata tra le nebbie londinesi del 1841; catena, questa, la cui materia sarebbe sempre stata essenzialmente mazziniana. Se poi si considera la detenzione medesima di Mazzini e di Carlo Rosselli tra le mura del carcere di Savona tale contingenza avrebbe assunto suggestioni e valenze così profonde da far sì che Rosselli col suo “Lavoro molto”, “penso, penso, penso”, gettasse, nella sua cella, le basi di un progetto politico per una rivoluzione morale, in risposta al Regime; quella stessa rivoluzione auspicata da Mazzini e dalla sua Giovine Italia, ma rimasta incompiuta:
Ideai in quei mesi d’imprigionamento in Savona – riportano le Note autobiografiche del Genovese – il disegno della Giovine Italia; meditai i principii sui quali doveva fondarsi l’ordinamento del partito e l’intento che dovevamo dichiaratamente prefiggerci; pensai al modo d’impianto, ai primi ch’io avrei chiamato a iniziarlo con me […]. Tutte le grandi imprese nazionali si iniziano da uomini ignoti e di popolo, senza potenza fuorché di fede e di volontà che non guarda a tempo né ad ostacoli […]. Queste cose io pensavo nella mia celletta in Savona […]. Da quelle idee io desumevo intanto che il nuovo lavoro doveva essere, anzi ogni altra cosa, morale, non angustamente politico; religioso, non negativo; fondato su principii, non su teoriche d’interesse; sul dovere, non sul benessere.
Quindi, privato come Mazzini della libertà da una giustizia autoritaria e basata sul privilegio, paradossalmente, proprio grazie a questa condizione difficile e particolare, Carlo Rosselli accompagnato dall’esempio dell’illustre predecessore, avrebbe acuito le proprie capacità speculative riguardo al concetto stesso di libertà, una libertà innanzitutto morale, non fisicamente imprigionabile ma pienamente realizzabile attraverso “un grande fermento spirituale”, “una catarsi, una purificazione di popolo”, accompagnato da un ideale di autentica giustizia. Essenziale anche l’amicizia con Ferruccio Parri, suo compagno nella liberazione di Turati e in prigione, descritto da Rosselli in questo modo: “Fino alla conoscenza di Parri, l’eroe mazziniano mi era apparso astratto e retorico. Ora me lo vedo spesso vicino, con tutto il dolore del mondo, ma anche con tutta la morale energia del mondo, incisa sul volto”.
Sempre in carcere, il 15 aprile il destino avrebbe fatto sì che ricevesse il libro del fratello Nello inerente l’incontro-scontro, sul comune terreno economico-sociale del movimentismo operaio, tra Mazzini, Marx e Bakunin, tra l’ideologia della conquista dei diritti tout court, e la scuola del Dovere innanzitutto, tra il materialismo positivistico e scientista, e un umanesimo progressista svincolato da concezioni puramente meccanicistiche: “Confesso d’aver provato – si legge nella sua corrispondenza – un momento di sincera emozione quando mi son messo a tagliare le fraterne pagine, e anche di soddisfazione”. Pagine fondamentali queste, che lo avrebbero certamente facilitato a teorizzare il suo socialismo liberale, allontanandolo così dalla strada intrapresa anni prima da quei repubblicani collettivisti che, spinti da un impulso di appuntita semplificazione nella ricerca del nuovo, avevano aggiunto alle teorie del Genovese quel radicalismo proprio della lotta di classe, finendo per alterare e andare contro l’intima armonia del mazzinianesimo stesso:
Era il fiore del suo esercito che disertava – per usare le parole di Nello Rosselli -; chi avrebbe seguitato il suo lungo cammino, chi compiuto il programma, chi tenuta salda la compagine tra i vari elementi della sua dottrina e principalmente la indispensabile coesione tra il progresso materiale e quello morale, tra esigenze dello spirito e esigenze della vita, al cui raggiungimento si erano volte tutte le sue energie migliori. Crollava ogni speranza e l’avvenire si offuscava.
E a proposito di Nello Rosselli, riguardo a Mazzini, ai mazziniani e ad altri protagonisti dell’ Ottocento italiano, questi soleva dire: “Quando mi trovo con gli uomini di quel tempo, mi sento a posto: mi sento come a casa mia, gli uomini di oggi mi sono estranei. Avrei dovuto essere nato allora”; aggiungendo altrove: “Un rinnovato repubblicanesimo è il movimento al quale mi sento più vicino ed incline”.
Quindi, nel volume Mazzini e Bakunin, Nello Rosselli affermava:
Quanto era delicata la sensibilità di Mazzini, tanto era pesante, sorda la sensibilità di Marx, priva di quel senso accorato di umanità […]. Rovesciamo Mazzini e si avrà qualcosa di simile a Marx: freddo, preciso, logicamente impeccabile, concreto; cervello assai più acuto che non sensibile cuore. Dall’uno non poteva venire che una predicazione d’amore: il sogno della solidarietà fra le classi sociali, una dottrina di educazione e di elevazione morale. L’altro dalla secolare esperienza dell’umanità doveva trarre una ferrea legge economica, prima regolatrice d’ogni vicenda: legge che non nega ma innegabilmente attenua l’influenza dei valori morali.
Parole illuminanti per comprendere anche la dottrina di Carlo Rosselli: sintesi del socialismo di stampo non marxista e del cosiddetto “liberalismo rinnovato”; un socialismo umanitario considerato, appunto, come “filosofia della libertà”, certamente egalitarista ma pur sempre attento alle “esigenze morali e alle tendenze volontaristiche” dell’individuo, e un liberalismo inteso come “teoria politica che, partendo dal presupposto della libertà dello spirito umano, dichiara la libertà supremo fine, supremo mezzo, suprema regola dell’umana convivenza”. Allora non un ossimoro ma una visione più ampia e certamente non vincolata da dogmatismi, la stessa che aveva portato Mazzini, a sostenere la necessità di un continuo dialogo tra libertà e giustizia sociale: “L’Inghilterra – scriveva il Genovese poco dopo essere giunto a Londra, nel 1837 – è una nazione che illude da lontano ma spaventa da vicino; la ricchezza vi è ripartita in maniera più ineguale che in qualsiasi altro luogo della terra; un quinto degli abitanti vive della carità, mentre la proprietà e i capitali sono monopolio d’una stretta minoranza”; aggiungendo, alcuni mesi più tardi: “L’Inghilterra non è ben governata, né felice, né tranquilla. La libertà esiste qui, ma la libertà senza uguaglianza non è se non un inganno per molti”; e così Rosselli nel 1932: “la libertà non accompagnata e sorretta da un minimo di autonomia economica, dall’emancipazione dal morso esistenziale dei bisogni esistenziali, non esiste per l’individuo, è un mero fantasma. L’individuo in tal caso è schiavo della sua miseria, umiliato dalla sua soggezione”.
Mettendo, quindi, l’Uomo al centro della sua dottrina lo stesso Rosselli, mentre teorizzava un nuovo modello basato sull’economia mista, sulle autonomie locali, sull’autogestione e sulla partecipazione degli operai all’amministrazione della produzione, tutto questo in uno “sforzo progressivo di assicurare a tutti la possibilità di svolgere liberamente la loro potenzialità di una continua lotta di perfezionamento”; doveva avere ben presente e fare nuovamente eco a Mazzini, che nella riforma della grande proprietà, aveva auspicato l’“unione del capitale e del lavoro nelle stesse mani”, da realizzarsi attraverso “la formazione progressiva di associazioni cooperative”, in modo tale che capitale e lavoro associati creassero nuovi rapporti di solidarietà, moltiplicando così la produzione di ogni individuo, armonicamente inserito nella vita collettiva:
Credo nell’associazione – scriveva il rivoluzionario genovese in un articolo intitolato Un’ultima parola sul Fourierismo e sul Comunismo -, come l’unico mezzo per attuare sulla terra quel progresso al quale tutti aspiriamo, non solamente perché moltiplica l’azione delle forze produttive – ciò che del resto è importante solo in un secondo grado[1] – ma perché, ravvicinando le differenti manifestazioni dello spirito umano, allarga e rende sempre più potente la vita dell’individuo, permettendogli di comunicare con la vita collettiva. E so che siffatta Associazione può essere feconda solamente tra individui liberi, tra nazioni libere, che sappiano gli uni e le altre di possedere una speciale missione da compiere nel lavoro comune.
“Nazioni libere – conviene ripetere -, che sappiano […] di possedere una speciale missione da compiere nel lavoro comune”, una missione comune e un lavoro comune, antitesi delle degenerazioni nazionalistiche e totalitarie, volte, invece, a negare o maglio ancora a rinnegare l’altro attraverso guerre di conquista e di sopraffazione. Così i fratelli Rosselli, interpreti della visione mazziniana tanto della “Giovine Europa” quanto dell’“Alleanza Repubblicana Universale”, avrebbero ripetutamente sostenuto l’idea, appunto, di un’Europa, entità superiore, costituita da nazioni libere e sorelle, apportatrici, nelle loro peculiarità, di un contributo fondamentale, in special modo l’Italia, per un autentico progresso di civiltà: “l’Italie – scriveva, a tal proposito, Carlo Rosselli durante il suo esilio – de Dante et de Mazzini renvient à la tête de la Révolution européenne”; e altrove ribadiva: “un grande obiettivo positivo: fare l’Europa”, invitando la sinistra europea a
Polarizzarlo fra le masse; prospettare loro sin d’ora la convocazione di una assemblea europea, composta di delegati eletti dai popoli che, in assoluta parità di diritti e di doveri, elabori la prima costituzione federale europea, nomini il primo governo europeo, fissi i principi fondamentali della convivenza europea, svalorizzi frontiere e dogane, organizzi una forza al servizio del nuovo diritto europeo e dia vita agli Stati Uniti di Europa […]. Armati di questa formidabile idea-forza – continuava – [i governi democratici] solleverebbero una ondata di entusiasmo religioso in Europa, spezzando il plumbeo blocco dell’opinione totalitaria nei paesi fascisti.
E a quale entusiasmo religioso si riferiva Rosselli se non a quello dell’apostolo genovese? Visto che già dal 1926, davanti al Regime montante, sulle colonne della rivista del revisionismo socialista, “Quarto Stato”, aveva affermato che “Non c’è ragione di dubitare però che è a Mazzini che dobbiamo chiedere un atteggiamento d’intransigenza religiosa”. Insomma al paganesimo nazionalista e alla sua notevole forza di aggregazione della cultura reazionaria, andava contrapposto e divulgato l’ideale della patria per le patrie, ideale sovranazionale e universale, religiosamente espresso dallo stesso Mazzini, che a sua volta, dichiarando il rapporto tra nazionalismo e nazionalità pari a quello tra superstizione e religione, aveva auspicato per l’Europa la convocazione di “un congresso – sono parole del 1850 – dei rappresentanti di tutte le nazionalità, costituite e riconosciute, con la missione di formare l’alleanza dei popoli e di indicare i comuni diritti e i comuni doveri dei popoli; questo deve essere il fine di tutti i nostri sforzi”; aggiungendo: “la questione oggi è l’‘establishment of european democracy’”.
Quindi, innanzitutto lotta al fascismo, una lotta cominciata fin dai suo albori, quando in Toscana, lo squadrismo nero, aveva accompagnato, alle violenze contro le forze democratiche, una rozza propaganda antiebraica. Una lotta iniziata da Carlo e Nello, entrambi interventisti, proprio verso quei rigurgiti violenti del primo conflitto mondiale, abilmente organizzati e manovrati da Benito Mussolini; una lotta che avrebbe portato i Rosselli, spinti da quell’etica del Dovere tanto cara a Mazzini, a schierasi apertamente contro la dittatura, anche se questo avrebbe significato per loro persecuzione, carcere, esilio e morte:
Rivendico, da liberale convinto quale sono – rispondeva, ad esempio, Nello Rosselli, dopo essere stato invitato a sottoscrivere una dichiarazione di “attendere unicamente agli studi”, abbandonando ogni azione diretta contro il Regime, in cambio della sua liberazione dal confino – il diritto e il dovere che compete a tutti i cittadini pensanti, di occuparsi del loro paese e delle sue sorti e di serbare di fronte al potere esecutivo una posizione ideale di critica e di controllo severo. Se la promessa che si attende da me implica la rinuncia da parte mia all’esercizio di questi fondamentali diritti e doveri, non esito a dichiarare che tale promessa io non sono in grado di farla come quella che esigerebbe che io paralizzassi volontariamente il mio cervello e il mio cuore.
Inoltre, non a caso Gaetano Salvemini nel ricordarlo avrebbe affermato: “Non volle mai stabilirsi fuori d’Italia. Diceva essere necessario che qualcuno rimanesse a dare esempio di ‘non mollare’ […] Era suo dovere darlo”.
E, mentre, in nome dei diritti-doveri, Nello, per alcuni mesi, avrebbe, appunto, subito il confino; a Parigi Carlo Rosselli dava vita alla formazione rivoluzionaria di “Giustizia e Libertà”, obiettivo del movimento l’instaurazione in Italia, con metodi rivoluzionari, di un regime libero, democratico e repubblicano, l’apertura alla classe lavoratrice e il collegamento con la tradizione risorgimentale.
Così, per quanto nel movimento confluissero diverse anime, dalla repubblicana, alla socialista, alla democratica, Mazzini tornava nuovamente a ispirare Rosselli e con lui gli idealisti-cospiratori del ventesimo secolo, considerando, appunto, che lo stesso binomio, “Giustizia e Libertà”, era stata parola d’ordine pronunciata più volte proprio dal Genovese, e in particolar modo in riferimento alla sua idea di una alleanza globale delle nazioni libere contro i vecchi sistemi assolutistici basati sull’egoismo e sulla prevaricazione:
Le vostre intenzioni – scriveva nel 1867 -, non ne dubito, sono sante; voi volete ciò ch’io voglio, libertà per tutti, giustizia, per tutti e la fratellanza, l’associazione di tutte le Patrie. Ora la Pace non può essere che conseguenza della Libertà e della Giustizia.
[…] L’intento che, in un mondo dato all’oppressione, alla anarchia morale, alle corruttele del privilegio, al capriccio degli individui, alla forza brutale che la sorregge, il dovere ci addita, è il trionfo della Legge morale, la soppressione di quanto contrasta al suo compimento, il riordinamento dell’Europa, la sovranità delle nazioni libere eguali, associate, l’aiuto di tutto a tutti per l’emancipazione di quanti sono oppressi, pel miglioramento di quanti soffrono, per la educazione di tutti, l’indipendenza di tutti […].
[1] Si noti come Carlo Rosselli nelle sue “tredici tesi”, in I miei conti col marxismo, al primo punto sostenga “Che il socialismo è in primo luogo rivoluzione morale, e in secondo luogo trasformazione materiale”.