QUESTA POLITICA FRENA SVILUPPO E SOLIDARIETA’
Tra populismi, frammentazione e “rancori” – di Graziano Fioretti
Se non fosse il 2017 penseremmo di essere ritornati a 100 anni fa quando nella “sinistra” si scontravano “riformisti” e “rivoluzionari”. Oggi il confronto (scontro) torna ad essere tra “riformismo” e “massimalismo” al punto che alcuni commentatori hanno invitato i protagonisti a…… “rileggere Turati”.
Senza offendere la memoria del fondatore del socialismo italiano noi preferiremmo rileggere Ghisleri e magari, anche Salvemini sottolineando che all’epoca i Repubblicani non erano tra i cosiddetti “riformisti”, ma nello stesso tempo essi non guardavano certo al bolscevismo come modello: semplicemente si battevano, con intransigenza, per la Repubblica, e sempre con intransigenza non separavano mai “questione sociale” e “questione istituzionale”, mentre quest’ultima era in qualche modo “più a sinistra” sacrificata alla stessa logica del cosiddetto “riformismo”.Tutto ciò ricordato agli…immemori, mentre da un lato le ricette del “massimalismo” appaiono sempre più impraticabili, dall’ altro quelle del “riformismo” – nel quale è oggi giusto riconoscersi visto che ora la Repubblica c’è e, per fortuna c’è ancora – non si sa bene cosa siano ed in quale modo debbano essere declinate in una situazione politica sempre più critica, incapace di porre un freno alla sofferenza e a quel “rancore” sociale ancora una volta ben fotografato dal Censis.
Andiamo allora per esclusione. Nella nostra idea, una sana azione riformatrice mal si concilia con tre cose: con la demagogia e con il populismo; col tentare di forzare i fondamenti del “patto” anziché “riformare” ed “innovare” nei confini degli equilibri fissati dalla Costituzione; con l’esasperare l’uso della mano pubblica, gli spazi dell’intervento pubblico e della finanza pubblica, dilapidando le risorse prodotte dalla collettività, aumentando anziché contenere la giungla normativa e l’ “armatura” burocratica, senza peraltro migliorare i servizi e le tutele offerti ai cittadini e a chi produce.
Posti questi tre vincoli, per noi irrinunciabili, il confronto resta aperto. Certo, come ci ricorda in un recente e mirabile articolo apparso su “la Repubblica” la prof.ssa Nadia Urbinati, essere “riformisti” e, soprattutto, essere di “sinistra” dovrebbe significare anche qualcosa di più in termini di concezione e di pratica della stessa democrazia. Ma per una volta “dimentichiamo” ciò e concentriamoci su quelli che dovrebbero costituire i principi informatori di una sana azione di governo, visto che è oramai alle porte una nuova legislatura e forti sono i dubbi che i nuovi equilibri derivanti dall’ uso del cosiddetto “Rosatellum” saranno in grado di garantire all’ Italia la governabilità di cui essa ha bisogno.
Ebbene per noi il riformismo è capacità di scelta, mirare in ogni azione ed in ogni campo all’interesse generale senza farsi condizionare dalla logica del consenso, tutelare in ogni modo l’equilibrio tra libertà e giustizia, tra solidarietà e merito, tra risorse prodotte e risorse spese in una coerente e saggia allocazione delle stesse. Essere riformatori significa credere nel confronto sociale, nella “democrazia economica” e nella partecipazione delle rappresentanze sociali come valore e non come vincolo. Significa capacità di visione strategica e di lungo periodo; selezione rigorosa delle classi dirigenti; combattere senza tregua la corruzione; lotta al blocco burocratico-clientelare che brucia, giorno dopo giorno, le risorse prodotte dalla collettività; significa primato della politica sulla gestione ed insieme controlli effettivi e costanti sulla gestione e sull’ amministrazione; significa, infine, senso dello Stato e rispetto dei capisaldi istituzionali, del loro ruolo, della loro autonomia, degli equilibri reciproci.
Prendendo le distanze dall’ “agone” partitico ci accorgeremo che ben poco di tutto ciò viene praticato dalla politica nostrana. Tutta la lunga esperienza che è alle nostre spalle ci induce alla consapevolezza di quanto sia complesso vedere praticati questi dettami, soprattutto in una realtà nella quale la globalizzazione ha modificato in profondità tutti, o quasi, i parametri di riferimento. Nello stesso tempo è proprio il ritornare a guardare a ciò che di positivo le tradizionali forze politiche dell’ Italia dal dopoguerra – laiche, socialiste, cattoliche – avevano saputo “rappresentare” e soprattutto “fare” per la crescita del Paese ad indurci a riflettere su come sia caduto in basso oggi il dibattito tra le nuove forze politiche ridotto, anche a loro interno, a mera lotta e scontro personale e di potere.
La crisi della sinistra e degli stessi equilibri di centro-sinistra, cui richiamano non solo l’esito della consultazione elettorale siciliana ma anche, e soprattutto, l’insuccesso degli sforzi compiuti da autorevoli esponenti della vicenda politica italiana per realizzare una sintesi unitaria tra le diverse “anime”, ci confermano che il confronto sui princìpi e sui programmi e la ricerca di un vero punto di incontro capace di sostenere un’autorevole azione di governo siano stati pressoché completamente sacrificati in nome di odi e rancori personali e di mire di protagonismo e di potere, alimentati anche dai nuovi meccanismi elettorali.
Né il contesto internazionale ed europeo sembra offrire validi modelli alternativi. A questo proposito è di questi giorni la lettera inviata dai Ministri delle Finanze dei 5 principali Paesi della Unione Europea al Segretario di Stato americano al Tesoro, Steven Munchin, nella quale si esprime la preoccupazione e la netta opposizione europea alle scelte di politica fiscale del Governo USA, scelte che distorcerebbero gli accordi internazionali sulla tassazione mettendo in atto una sorta di dumpig che favorirebbe solo l’export americano, ostacolando così la concorrenza delle imprese europee.
È pur vero che ciò che la forza dell’ economia USA e la forza “politica” del dollaro consentono da sempre agli USA non sarebbe forse concesso all’ Europa. Ma diciamoci con franchezza: non è altrettanto vero che, soprattutto in materia di politica fiscale e di opprimente pressione fiscale, i Paesi UE e soprattutto i politici italiani anziché continuare a lanciarsi nelle solite promesse elettorali farebbero bene a mettere ordine, fino a quando non sarà troppo tardi, nei propri conti pubblici devastati dal peso dei privilegi, dai costi altissimi ed insostenibili degli apparati, dagli sprechi e dalle diseconomie a tutti i livelli, per rendere realmente possibile dare l’indispensabile ossigeno alle imprese ed al lavoro? E così gli scenari che si presentano ai cittadini ed elettori appaiono, oggi come non mai, in tutta la loro incertezza, nebulosità e vaghezza, tali da spingere ad una ancora più consistente fuga dell’elettorato nell’ astensionismo.
Ma ancora più incerte appaiono le garanzie di governabilità perché l’equilibrio tradizionale fra “centro” e “sinistra” appare sempre più impraticabile e perché dinamiche (e probabili esiti) della prossima competizione elettorale sono oramai indirizzati a consegnare le sorti del Paese al confronto tre diversi tipi di “populismo”: a) quello che pur rappresentando una fetta sempre più consistente del rifiuto della “vecchia politica” non ha dato e non dà prova di vera garanzia nella propria capacità di governo e di vera cultura politica; b) quello che in nome della tanto declamata “rottamazione” ha finito per dilapidare in poco tempo un forte patrimonio di credibilità e di consenso, insieme ad una fetta importante di spesa pubblica; c) quello, infine, che agitando le bandiere di un antieuropeismo di maniera, della intolleranza e di una forzata identità nazionale (impropriamente collegata alla contemporanea difesa di propri privilegi territoriali) vorrebbe riproporci un antistorico ritorno ai personaggi ed alle illusioni liberiste del lontano 1994.
Manca purtroppo in questo panorama quella possibilità di una scelta alternativa che dovrebbe, ancora oggi, corrispondere a quell’ “idea dell’ altra Italia” vagheggiata da Ugo La Malfa e riproposta da Giovanni Spadolini, alle priorità del “programma” e della “ragione”, alla ricerca di una vera spinta solidale e nazionale, a quel rigore del vero riformismo che esprimeva passione e amore per il futuro del Paese e che ci fanno rimpiangere un passato ormai lontano; ma che insieme ci spingono ad andare avanti con coraggio nel riproporre alle nuove generazioni, agli uomini liberi, ai lavoratori operosi, alle parti più deboli della nostra società, giovani ed anziani il patrimonio dei valori e dei principì della laicità repubblicana come la vera via della riscossa dell’ Italia moderna e della stessa Europa.