I lavoratori e il Paese chiedono più unità

Due sono i simboli, gli scalpi, che dividono, contrappongono, coloro che, con specifici compiti, devono o dovrebbero difendere i lavoratori: l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e il cosiddetto Jobs Act.

E’ possibile un atto mediativo su questi due argomenti? Io credo (già esistono per i lavoratori sostanziali miglioramenti) che sia possibile con la definizione di uno statuto dei lavori (quante nuove attività nascono ogni giorno!), delle imprese, dei lavoratori: questo scambio – le parti in conflitto non si parlano ed è difficile trovare una sintesi all’interno degli attuali sindacati –politico. Lo scontro frontale non fa bene ad alcuno e ogni ipotesi di soluzione dello scontro in atto è possibile con veri strumenti unitari o con l’unità vera e propria.

Ho portato questo esempio, come altri, perché le tre Confederazioni avevano assicurato il pluralismo ideologico durante la guerra fredda, ed oggi che c’è la proliferazione dei sindacatini e le richieste dei lavoratori sono sostanzialmente uguali, non parlano più, forse per abitudine o “convenienza”, di processo unitario se non in modo formale.

Penso che un articolo non possa dividere, se non vi sono pregiudiziali ideologiche o ancor peggio elettorali: l’articolo del Ministro dell’Industria e del Segretario responsabile di un Sindacato di categoria è un utile “elenco” e progetti, i cui strumenti vanno ricercati unitariamente (nessuno è depositario della verità), ed un pro-memoria per chi governerà.

Una prima considerazione è che la ripresa economica esiste (+ 3,9 a livello mondiale: lo confermano, senza ombra di dubbio, alcune Agenzie internazionali, come il Fondo Internazionale e l’Ocse, e il nostro – Istat – ente di indagine statistica, la stampa specializzata,…) ed anche se l’Italia cresce meno, la tendenza è che i parametri di uscita dal tunnel della crisi economica sono tutti positivi.

E’ una constatazione che l’occupazione aumenta, ma ancora sono troppo pochi i contratti di lavoro a tempo indeterminato: uno spazio di flessibilità (purtroppo questo strumento necessario, si traduce in precarietà) le aziende lo richiedeno in particolare per le variabili richieste dei mercati internazionali, per i limiti dei centri per l’impiego, un mercato del lavoro quasi inesistente e incapace di fornire nuove professionalità, la quasi inesistente formazione in azienda che non sa rinnovarsi per accogliere le richieste provenienti dal mercato,… : il paese deve spingere ed investire sull’ innovazione, sulla scuola-lavoro (in Italia agli istituti tecnici 9.000 studenti, contro gli 800.000 della Germania) con la presenza attiva di tutte le forze sociali, sulla partecipazione agli utili e il controllo duale dell’impresa,…

Ferma restando la contrattazione nazionale e l’introduzione di un salario minimo (in Europa non l’hanno, oltre all’Italia, Danimarca, Svezia,…), bisogna intensificare la contrattazione aziendale (oggi avviene per grandi concentrazioni e poco per le piccole aziende) e quella territoriale su: produttività, salario, occupazione, organizzazione lavoro,…, ricordandosi che il Sindacato in Germania chiede l’orario settimanale a 28 ore.

Come abbiamo detto – non è una bestemmia dire che la nostra economia sta migliorando – bisogna continuare ad operare sul Pil ed avere un preciso riferimento all’Europa, tentando di superare, con proposte serie, le difficolta, stretta com’è dai sovranismi e gli estremismi, le difficoltà politiche che mostra nel passare dalla imposta austerità alla flessibilità, alla crescita: anche il sindacato può offrire flessibilità all’Italia a patto che ci sia una efficiente politica industriale concordata tra le parti. Il Pil migliora ed ugualmente l’export e gli investimenti industriali, ma tutto questo mette a nudo le difficoltà del nostro tessuto produttivo.

“Rivoluzione digitale crea e distrugge occupazione”: non esiste sviluppo senza investimenti finalizzati e la redistribuzione del reddito (chi ha più reddito più paghi: nessuno vuole assistenza), ma tutte le cose dette sono realizzabili se si mette al centro di ogni azione politica il lavoro e i sindacati, le idee e la forza dell’unità dei lavoratori.

Giulio Lattanzi