NON REPRESSIONE MA STRUMENTI PER UN PATTO EDUCATIVO TRA SCUOLA E FAMIGLIA
“Restituire autorevolezza alla scuola”
– Pubblichiamo il testo dell’ intervento della parlamentare marchigiana e mazziniana On.le Irene Manzi deputata PD sul ddl del Ministro Valditara contro la violenza in ambito scolastico
Gentili colleghe e colleghi,
vorrei iniziare questo mio intervento con una riflessione al centro del recente rapporto della Società Geografica italiana.
Quel rapporto- dedicato quest’anno proprio ad un viaggio intorno alla scuola italiana- assegna ad uno dei suoi capitoli un titolo molto significativo, ben aderente alla discussione odierna.
“Nessuna scuola è un’isola”, ovvero ogni comunità scolastica risente ed è collegata al territorio su cui insiste ed opera, nel bene e nel male. Nelle opportunità e nei vantaggi come, purtroppo, nelle diseguaglianze e nelle difficoltà.
Ed è proprio concentrandosi su questo, conoscendo ed essendo consapevoli del territorio, locale e nazionale, in cui si opera si ha la capacità di intervenire e contrastarle.
Per ricorrere alla bella poesia di John Donne nella prefazione di “Per chi suona la campana”: “Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, l’Europa ne sarebbe diminuita, come le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi o la tua stessa casa”.
Qualunque cosa avvenga nella scuola e nella comunità scolastica, lo “stare bene” in quei luoghi e spazi è qualcosa che ci riguarda e chiama in causa la nostra responsabilità. E questo vale per quanto di bello avviene in quei luoghi. Come per quanto di complesso e difficile. E lo dico proprio con riferimento agli episodi di violenza che si verificano o si sono verificati all’interno della scuola.
Ci interrogano. Ci colpiscono e richiamano la nostra attenzione.
Lo premetto, perché voglio che questo sia ben chiaro nel dibattito a cui- in questi giorni- saremo chiamati ad affrontare in quest’aula. Nessuna delle forze politiche qui presenti è indifferente o sottovaluta gli episodi di violenza che si verificano all’interno delle scuole. Che hanno toccato i docenti, il personale scolastico, gli studenti fino ai fatti di cronaca delle ultime ore.
La scuola è una comunità da cui la violenza dovrebbe essere estranea. Comunità educante in cui dovrebbero trovare applicazione vivente e concreta i valori del confronto, del dialogo, del riconoscimento reciproco.
E’ il luogo della crescita, della relazione, dove si imparano a gestire i conflitti e a stare insieme nella differenza. E’ comunità di apprendimento, luogo di sviluppo dei valori di democrazia, convivenza, ascolto reciproco.
E’ per questo che vogliamo dare peso e rilievo agli episodi di violenza che coinvolgono i docenti. Sono preoccupanti, allarmanti e vanno contrastati.
Toccano ognuno di noi e pensiamo che sia giusto che le istituzioni riflettano e si facciano carico delle conseguenze che fenomeni come questo producono. Assumano la responsabilità di riflettere sui contesti in cui maturano e sulle cause che li originano. Provino a dare soluzioni a fenomeni che esprimono un profondo e forte disagio che tocca tutta la comunità scolastica.
Perché voglio evidenziare questo aspetto. Un atto di violenza compiuto contro un docente. Un’azione violenta verbalmente o fisicamente, un atto di bullismo compiuto contro uno studente riguardano tutta la comunità scolastica. E le istituzioni. E vanno affrontati insieme proprio per questo. Perché è il benessere complessivo di quella comunità che dobbiamo avere a cuore e sui cui dobbiamo investire.
Però, c’è un però, non ci convincono le soluzioni che a fenomeni così gravi come quelli della violenza in ambito scolastico questa proposta di legge offre.
Gli atti violenti e penalmente rilevanti vanno perseguiti con gli strumenti che già oggi l’ordinamento offre e prevede. Ma accanto a quella che è la repressione di avvenimenti violenti pensiamo che sia necessario prevedere una logica più ampia e strutturata. Che miri a prevenire che questi accadano. Che investa sulle cause per cui avvengono. E che promuova un’azione educativa necessaria ed importante sul disvalore che azioni come queste esprimono e devono esprimere. Favorendo una piena consapevolezza degli studenti. Non solo attraverso la sanzione ma, prima ancora, con la piena comprensione e con una maturazione complessiva dello stesso.
Una consapevolezza che non è lo strumento penale da solo a consentire di acquisire.
Perché non è in grado di intervenire sulle cause che originano quella violenza. E se non si è in grado di intervenire sulle cause ogni azione rischia di essere inefficace.
Non vogliamo sottovalutare le legittime ed urgenti preoccupazioni del corpo docente rispetto a fenomeni di violenza che toccano i luoghi scolastici. Ad esse va data risposta. Ma gli strumenti che la proposta di legge mette in campo non sono da soli sufficienti.
E voglio proprio scendere più approfonditamente nel testo di legge per provare a spiegare meglio il mio ragionamento.
La proposta di legge interviene inserendo nel codice penale, da un lato, un’aggravante generale- all’art.61, relativa all’aver agito, nei delitti commessi con violenza o minaccia, in danno di un dirigente scolastico o di un membro del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico o ausiliario della scuola.
A fianco di tale aggravante generale, applicabile dunque a tutti i delitti commessi con violenza o minaccia, si introducono due ulteriori, specifiche ipotesi aggravanti, nel caso dei reati di cui all’art. 336 e 341bis del codice penale, ovvero “violenza o minaccia ad un pubblico ufficiale” e “oltraggio a pubblico ufficiale”. Fattispecie di reato la cui pena viene aggravata – fino alla metà – se il fatto è commesso dal genitore esercente la responsabilità genitoriale o dal tutore dell’alunno nei confronti di dirigente scolastico o di un membro del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico o ausiliario della scuola.
A fianco della sanzione penale- senza addentrarmi qui sul fatto che il docente è già un pubblico ufficiale e sulle interpretazioni già fornite in tal senso da parte della giurisprudenza, – la proposta di legge prevede la creazione di un Osservatorio nazionale sulla sicurezza del personale scolastico. Un nuovo, ulteriore, organismo con molteplici compiti tra cui monitorare ed analizzare le segnalazioni sui casi di violenza ai danni del personale scolastico, promuovere iniziative per favorire un clima di collaborazione tra scuola, studenti e famiglie, promuovere buone pratiche per sostenere processi di apprendimento ridurre e prevenire fenomeni legati alla dispersione scolastica, al bullismo, alla violenza, al disagio giovanile, promuovere corsi di formazione per il personale scolastico, incentivare iniziativa a favore degli studenti e finalizzate alla prevenzione e al contrasto del disagio giovanile.
Intenti condivisibili che infatti- in una logica complessiva di intervento – ci spingono a suggerire al relatore di cambiare il nome a questo organismo, facendo un rinvio esplicito a tutta la comunità scolastica.
Intenti condivisibili, dunque, a cui, però fa fronte un articolo specifico – il n. 7- intitolato “clausola di invarianza finanziaria”, che tradisce il fatto che alla logica penalistica non fa da contraltare un’azione più ampia e generalizzata di reale prevenzione, sensibilizzazione, contrasto a tali fenomeni. Si istituisce un organismo con una pluralità complessa di compiti ma non gli si forniscono gli strumenti operativi e soprattutto le risorse per adottare iniziative, per promuovere buone prassi, corsi di formazione, azioni di contrasto al disagio giovanile. E questa proposta di legge queste risorse non le ha e – temo- non pensi di trovarle.
E’ molto più facile prevedere una norma penale, l’ennesima, intervenire a beneficio della stampa piuttosto che provare ad evitare che fenomeni di violenza si verifichino. Prevenirli realmente. Ed è questo il limite di questa proposta di legge. E, più in generale, consentitemi colleghi, è il grande limite che l’azione del Governo e del Ministro Valditara ha su questi punti. Anche negli ultimi provvedimenti adottati dal decreto Caivano per il quale si prevedono sanzioni a carico dei genitori, personale aggiuntivo nelle scuole locali fino al 31 dicembre 2023 (e poi mi verrebbe da dire?), si stanziano risorse non strutturali, per un solo anno scolastico ed andando, per giunta, a sottrarle ad altre misure riguardanti l’istruzione ( dai fondi stanziati per le scuole colpite dall’alluvione in Emilia Romagna e dall’altro dal Fondo per l’arricchimento e l’ampliamento dell’offerta formativa, andando quindi a sottrarlo ad altri interventi ugualmente necessari) senza avere il coraggio di un serio e compiuto investimento sul disagio giovanile che riguarda Caivano- teatro di orribili violenze contro i minori in questa estate 2023- ma riguarda il nostro Paese, le periferie delle nostre grandi città, al Nord o al Sud, e i piccoli e grandi centri che puntellano il territorio italiano.
Sia chiaro, voglio ribadirlo ancora una volta. I fenomeni di violenza vanno repressi e sanzionati. Ecco perché, anziché prevedere aggravanti al reato relativo al pubblico ufficiali, abbiamo provato ad immaginare- negli emendamenti depositati in aula- una fattispecie specifica di reato, legata all’art.583 quater del codice penale, intervenendo nell’ambito dei delitti contro la vita e l’incolumità individuale ( ancora più gravi) e non contro la pubblica amministrazione per prevedere che chiunque cagioni lesioni ad un pubblico ufficiale, a personale esercente una professione sanitaria o socio-sanitaria, a dirigenti scolastici e personale docente le lesioni siano punite. Ci sembra una fattispecie di reato più congrua rispetto al contesto complessivo. Diretta, soprattutto, ad individuare categorie (appunto come il personale sanitario e quello docente) che meritano una tutela rafforzata da parte dello Stato.
Come affermato dal Consiglio superiore della Pubblica Istruzione “aggressività e violenza, di qualunque natura e provenienza, non possono essere tollerate in alcun contesto del vivere civile e, in particolare, nella scuola, importante e primario luogo di educazione sociale e civile, di costruzione di una visione della persona e della società, del suo “essere” ed “essere nel mondo” come soggetto attivo, responsabile, solidale. Obiettivi raggiungibili soltanto con azioni congiunte di tipo istruttivo ed educativo in un luogo come la scuola, spazio pubblico dedicato alla formazione delle persone e dei cittadini che garantisce l’incontro e il confronto fra generazioni, l’elaborazione dei saperi e la trasmissione del patrimonio culturale di un popolo”.
Perché un reato commesso all’interno e a danno di una comunità scolastica ha una gravità ed un rilievo maggiore. Che come tale richiede interventi preventivi più intensi e significativi.
Richiede la ricomposizione di un patto educativo tra scuola e famiglia e ancor più l’individuazione di modalità per riconoscere e contrastare situazioni di disagio psicologico sociale e culturale delle studentesse e degli studenti, insieme ai fenomeni di dispersione scolastica.
Ecco perché nei nostri emendamenti abbiamo voluto valorizzare un tema che ci sta particolarmente a cuore: quello della comunità educante, al centro di una proposta di legge, a prima firma Malpezzi, in corso di esame al Senato.
Perché quel disagio che gli atti di violenza segnalano, richiede una strategia che chiama in causa la comunità nel suo complesso.
La comunità educante è l’insieme degli attori territoriali che si impegnano a garantire il benessere e la crescita di ragazze e ragazzi. Sono quelle figure che fanno parte di una zona di una città, di un quartiere o di un Paese che operano sul territorio a scopi diversi. Sono le associazioni culturali e sportive, gli oratori, le istituzioni, le organizzazioni non governative, le famiglie, i docenti, il personale scolastico e possono farne parte anche le aziende. Sono questi ed altri micro mondi che gravitano intorno ad un nucleo ben preciso: la scuola. E che si alleano in nome di essa attraverso la costituzione di patti educativi di comunità, basati sulla co-progettazione e corresponsabilità dell’azione realizzata su ogni specifico territorio, che hanno come obiettivo ultimo il benessere e la crescita di bambini e ragazzi da un punto di vista educativo, formativo e di costruzione del loro futuro.
Le reti territoriali possono mitigare quei fenomeni molto diffusi anche in Italia quali la dispersione scolastica e il fenomeno dei cosiddetti NEET (ovvero quei ragazzi che non studiano e non lavorano). La rete, che unisce le sue forze, le sue diversità e caratteristiche specifiche per non lasciare nessuno indietro. Per sostenere anche i docenti nel loro compito quotidiano, importante e qualificante.
Non stiamo inventando nulla. Ci sono molti esempi virtuosi ed importanti di comunità educanti nel nostro paese, realizzati dalle istituzioni insieme a tante associazioni che operano sul campo per garantire più tempo pieno, servizi – come l’attività sportiva o ricreativa- che da sola la scuola locale non riesce ad assicurare.
Quello che chiediamo al Governo in questo passaggio che gli esempi virtuosi si facciano sistema e si istituisca un Fondo strutturale a sostegno dei Patti educativi di comunità perché siano diffusi a livello nazionale e sistematico.
Pensiamo che questi strumenti, come pure sostenere ed incoraggiare la previsione di figure come l’educatore ed il pedagogista (le cui competenze specifiche non è il solo docente tutor a poter garantire), insieme all’introduzione dello psicologo e del supporto psicologico rivolto al personale scolastico, agli studenti, alle famiglie, per rispondere ai traumi e ai disagi, per mediare i conflitti. Prima che questi esplodano in episodi di violenza gravi contro i docenti o contro i propri compagni di classe o contro se stessi.
Con rammarico riteniamo questo provvedimento- se non verrà modificato nel passaggio dell’Aula- rischia di essere un’occasione persa. Perché affronta i fenomeni di violenza solo attraverso una strumenti sanzionatori, senza agire sul contesto in cui essi maturano, senza provare ad intercettarli e, soprattutto, ad anticiparli. Senza aprire una riflessione più ampia ed efficace sulla comunità scolastica nel suo insieme. Sugli studenti, sulle famiglie e sul loro rapporto con la scuola, sulle agenzie educative, sui docenti. Come rischiano di essere occasioni perse il decreto Caivano e lo stesso provvedimento relativo al voto condotta.
Perché l’aumento degli episodi di violenza è specchio di una realtà sociale in cui si registra un indebolimento del tessuto valoriale, una discrasia tra modelli educativi- quello scolastico e quello socio-familiare- e un progressivo discredito che purtroppo attraversa il sistema scolastico.
Ferme restando le responsabilità personali- civili e penali- che vanno perseguite e sanzionate dalla legge, le scuole, di fronte a fenomeni che configurano mancanze disciplinari, vanno sostenute nel compito di adottare provvedimenti che abbiano finalità educativa e tendano al rafforzamento del senso di responsabilità e al ripristino di rapporti sani dentro la comunità scolastica.
Occorre realmente valorizzare- e la sanzione da sola non lo fa- l’alleanza tra scuola e famiglia, che renda quest’ultima consapevole del ruolo educativo e formativo svolto dal docente e coprotagonista dei processi educativi e del rapporto con l’istituzione scolastica, comunità democratica fondante.
Perché non basta una sanzione a restituire autorevolezza e ruolo sociale alla scuola. Serve volontà politica, servono investimenti per recuperare la missione costituzionale di promozione della persona e di emancipazione dei futuri cittadini. Servono adeguamento degli organici e delle retribuzioni, serve formazione e qualificazione professionale del docente, serve l’investimento per scuole sicure, funzionali ed accoglienti, ambienti di apprendimento qualificati, spazi educatori. Il ruolo sociale del docente matura nella società stessa attraverso un percorso importante di presa di coscienza, di consapevolezza. Serve puntare sempre di più – nel reclutamento e nella formazione in servizio- sull’approfondimento pedagogico, didattico, sulla conoscenza delle dinamiche socio-relazionali, socio- emotive, di relazione di gruppo degli insegnanti e tra loro e gli alunni.
Per restituire autorevolezza alla scuola serve un progetto. Un’azione condivisa. Non uno spot. Serve tempo- non il tempo di un decreto legge- e coinvolgimento ampio di tutta la comunità scolastica nel suo insieme perché il Paese sta attraversando un’emergenza educativa e culturale.
Lo spaesamento delle giovani generazioni, la paradossale riduzione della capacità critica in un tempo di informazione pervasiva, l’indebolimento dei riferimenti valoriali, l’assenza di maestri e il pessimo esempio che troppo spesso danno gli adulti ad ogni livello, compresa purtroppo la politica, richiederebbero una reazione corale, condivisa, seria.
Di fronte a questo, pensiamo che sia indispensabile un’assunzione collettiva di responsabilità e una scelta comune di mettere come priorità del Paese gli investimenti nella Scuola e nella Cultura. Siamo pronti a fare la nostra parte e persino a condividere una battaglia nella prossima legge di bilancio per le risorse nel settore se davvero si vuole provare ad affrontare in tema con serietà.
Ma se il ministro pensa che il voto in condotta sia lo strumento per contrastare il bullismo o altre forme di violenza e disagio, trascurando quanto già si fa nelle scuole anche in termini di azioni socialmente utili rivolte al recupero dello studente, senza intervenire sulle cause, senza coinvolgere la comunità scolastica, le famiglie, fa un danno alla scuola.
Quale autonomia progettuale avranno le scuole nel definire proprie griglie di valutazione rispetto alle indicazioni ministeriali? In che cosa consisterà realmente l’esame di riparazione per coloro che nello scrutinio finale avranno conseguito il 6 in condotta? Sarà riformato in modo unilaterale lo Statuto delle studentesse e degli studenti che declinava le forme di giustizia “riparativa”?
Non contesto l’idea di aprire una riflessione sugli strumenti di prevenzione e sanzionatori, ma il percorso seguito non ci trova d’accordo. Perché non partire da un coinvolgimento reale ed efficace di chi il mondo della scuola lo vive quotidianamente, come docente, studente, genitore. Con un processo di consapevolezza da parte loro sulla situazione attuale, su quanto avviene all’interno della scuola, sulle difficoltà quotidiane. Perché il ministro non ha adottato questa strategia anziché mettere in campo un provvedimento calato dall’alto?
E’ ancora in tempo per farlo, nel passaggio del provvedimento alla Camere. Abbiamo fiducia nella capacità degli studenti e delle studentesse di interrogarsi e interrogarci su come cambia e va cambiata la scuola. Confrontiamoci con loro. Con le loro famiglie, con i docenti. Con chi vive ogni giorno la vita della scuola. Perché senza un effettivo e reale coinvolgimento democratico nessun processo normativo può avere realmente efficacia. Perché la serietà della sanzione- necessaria di fronte a comportamenti rilevanti penalmente o disciplinarmente- va applicata in un contesto teso al recupero e alla consapevolezza di ciò che è stato compiuto, della frattura che quel comportamento ha prodotto. E questo lo si può fare solo mettendo a punto processi e norme che siano in grado di tenere insieme questi due aspetti. Che sono gli stessi che- guarda caso- impone la nostra Costituzione.
Nei giorni scorsi il Ministro ha annunciato di aver messo in atto un modello di scuola costituzionale, che mette al centro lo studente. La scuola costituzionale per noi è quella “aperta a tutti” dell’art.34 della Costituzione, quella che non lascia indietro nessuno, che investe nei contesti difficili in un percorso di prevenzione e cura, che assicura e sostiene i più bisognosi, anche al di là del merito, perché ha in se’ come obiettivo l’attuazione dell’eguaglianza sostanziale dell’art.3. E’ quella che ha come obiettivo anche nelle sanzioni la rieducazione ed il recupero, ancora di più se è un minore.
E’ quella che lotta contro le diseguaglianze e gli atti violenti e discriminatori. E su questo ci permettiamo una volta di più di sollecitare l’impegno di tutte le forze politiche e del Governo per attuare in modo omogeneo quanto le norme, penso alla Legge 107 del 2015 e alle illuminate linee guida della ex Ministra Fedeli che ne seguirono che consentono la realizzazione di progetti che diffondano l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazioni al fine di informare e sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori.
Una scuola adeguata ai nostri tempi inquieti deve offrire gli strumenti per leggere il testo letterario o filosofico, per risolvere un problema. Ma deve anche insegnare a coltivare il dubbio e a vivere la cultura come domanda aperta. Deve prendersi cura della condizione emotiva e morale degli studenti, non limitarsi all’ossessione per il risultato, la prestazione, al successo, ma misurarsi anche con lo spazio dei fallimenti. La formazione del ragazzo non è una retta, ma un intreccio di linee, un cammino fatto di pause, deviazioni, cammini laterali, in cui possa esserci spazio per le insicurezze, le disillusioni, i dubbi, gli entusiasmi. La gioia e la fatica da condividere con gli adulti, in una comunità scolastica che tenga conto e accolga tale complessità.
Serve di fronte a questi tempi complessi- per citare le parole sentite pochi giorni fa nel corso di un seminario dal rappresentante di una associazione come Caritas italiana – una “coraggiosissima tenerezza dello Stato” con concretezza e misure. Tenerezza richiama il concetto di amore, di compassione, commozione profonda. E’ farsi carico con responsabilità del futuro della comunità scolastica, di TUTTA la comunità scolastica nel suo insieme. Con comprensione e attenzione per il mondo della scuola. Lo dico alla maggioranza di governo, proviamo a metterlo a sistema insieme, ad alzare lo sguardo più avanti, tenendo insieme prevenzione, sanzione (ove necessario) e recupero. Su questa strada ci troverete al vostro fianco sempre.