NOTE A MARGINE DELLA “PRIMA GUERRA NUCLEARE” 1905-2022

Ritardi e dicotomia dei trattati e il rischio della proliferazione nucleare – di Massimo Bertani –

Era l’argomento di un mio intervento programmato per l’iniziativa locale di un’organizzazione umanitaria deciso ad inizio 2022, da tenersi per il successivo giugno.

Poco dopo, a metà febbraio 2022, la sezione italiana della stessa organizzazione ha diramato una circolare che annunciava l’apertura di un primo corso di specializzazione sull’uso militare dell’energia nucleare, rimarcando il proprio ruolo per giungere alla promulgazione e approvazione del Trattato per la messa al bando (completa) delle armi nucleari (TPNW) firmato nel 2017 da 50 stati (oggi i paesi firmatari sono 84 dei quali 50 hanno ratificato).

Poi, il 24 febbraio 2022, dopo qualche settimana di conati diplomatici e manovre militari ai propri confini occidentali la Federazione Russa ha invaso il territorio Ucraino.

Mi augurai che durante i primi giorni dell’invasione, fra le varie opzioni sul tappeto, fosse perseguito il necessario rafforzamento del ruolo delle istituzioni internazionali, fosse considerata la possibilità di trasferire il legittimo governo, con i duecentomila militari delle forze effettive, presso un paese non NATO e venisse proclamato l’intero territorio ucraino quale Città Aperta (generalmente località non difesa o zona smilitarizzata secondo il Diritto Internazionale Umanitario); venissero aperti più corridoi di evacuazione per la popolazione civile che intendesse espatriare, venisse concordato l’invio di una forza di interposizione tra esercito occupante e la popolazione civile costretta a restare sul territorio, forza alla quale assegnare il ruolo di contenimento delle azioni violente e discriminatorie verso la popolazione residente. La comunità internazionale doveva prepararsi ad un lungo e logorante conflitto diplomatico ed economico, il governo in esilio sarebbe stato garantito dall’Europa Unita che avrebbe dovuto assicurare anche quanto necessario per l’assistenza e l’integrazione dei rifugiati, e quanto indispensabile per l’assistenza umanitaria alla popolazione ucraina residente, in cooperazione con le agenzie dell’ONU e le organizzazioni non governative. Il governo ucraino avrebbe mantenuto il proprio ruolo di rappresentante legittimo degli interessi ucraini in tutti gli atti internazionali necessari per la gestione della crisi, l’ex Unione Sovietica, risparmiando la popolazione civile, le infrastrutture, le proprie truppe e i materiali, avrebbe ridotto il proprio sforzo bellico limitandosi a mostrare i muscoli e all’occupazione del territorio, la NATO avrebbe dovuto mantenere la propria postura neutrale ai sensi del proprio statuto: da queste misure in avanti sarebbe stato necessario inventarsi giorno dopo giorno strategie attive in grado di mantenere il conflitto latente, sul tavolo (sin ora immaginario) delle trattative diplomatiche.

E’ stato detto che il dispositivo di congelamento del conflitto, come sopra proposto, rappresentava una illusoria novità e che tutte le parti coinvolte non disponessero di precedenti adeguati da cui attingere per costruire strategie credibili. E’ stato detto che l’ex Unione Sovietica non avrebbe tardato a collocare un governo fantoccio a Kiev, una volta ritagliata la fetta del territorio di proprio diretto interesse e integrata nel proprio. E’ stato osservato che la volontà generale della popolazione civile ucraina fosse ben lontana dall’ assumere una postura (almeno) non conflittuale, per quanto non collaborante, e che ampie porzioni dell’esercito regolare si sarebbero asserragliate in sacche di resistenza armata: gli esiti della resistenza civile e militare avrebbero giustificato le rappresaglie più spietate da parte delle forze di polizia e dell’esercito ex sovietico, di tale intensità e dimensione da avvicinarsi alle conseguenze dirette, ipotizzabili in caso di conflitto armato convenzionale fra lo stato ucraino ed ex sovietico e forse superarle.

Il generale Dwight D. Eisenhower che, primo comandante militare della NATO, e poi presidente degli Stati Uniti per due mandati (1952-1961), dovette assumersi il pesante incarico di gestire la prima fase molto turbolenta della proliferazione nucleare e dell’aspro conflitto freddo con l’Unione Sovietica, nel 1954 assunse la decisione (non del tutto condivisa dall’establishment militare, politico ed economico del proprio paese) di firmare il documento Basic National Security Policy ove si affermava chiaramente, per la prima volta, che: “… gli Stati Uniti e i loro alleati devono rifiutare il concetto della guerra preventiva e gli atti intesi a provocare una guerra … ”, mediando tra coloro che declinando in molte sfumature questo netto principio, ritenevano tuttavia giusto e necessario continuare l’intensa campagna di preparazione e risposta ad un possibile attacco nucleare da parte delle forze avverse (la deterrenza) e coloro che, invece, lo stavano addirittura superando elaborando le teorie del primo colpo preventivo, scenario che stava influenzando ampi settori dei vertici politici e militari, nella convinzione che lo stesso processo degenerativo fosse in corso anche in Unione Sovietica.

Lo stesso presidente che poco prima, l’8 dicembre 1953, pronunciò un accorato discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, sull’uso pacifico dell’energia nucleare, preconizzando un clima di rinnovata concordia: “ … la nostra speranza è che una conferenza delle quattro Potenze possa iniziare delle relazioni con l’Unione Sovietica che portino infine allo spontaneo mescolarsi dei popoli dell’est e dell’ovest … ”

Però:

“ … in questo cataclisma internazionale provocato (dai fanatismi) non è possibile per qualsiasi persona rimanere neutrale più di quanto sia possibile per un uomo circondato dalla peste bubbonica rimanere neutrale verso la popolazione dei topi.

Che vi piaccia o no la vostra vita, come forza, è obbligata o ad aiutare i topi o ad ostacolarli. Nessuno può essere immunizzato contro i germi della storia … ” (Edgar Snow, 1961).

Edgar Snow nel suo tempo si riferiva al cataclisma provocato dalle dottrine totalitarie quali origine della seconda guerra mondiale e immaginando la difficoltà di chiunque si trovi ad operare nella terra di mezzo mediando, quale entità giuridicamente neutrale, sull’orlo dell’abisso. A partire dalla fragilità di organismi le cui funzioni, in tempo di guerra, per essere assolte secondo la pubblica coscienza e in conformità al Diritto Internazionale, dipendono costantemente dalla coerenza e dal rigore con cui vengono applicati i principi fondamentali dei propri statuti, in un contesto ove “… se il centro di gravità dello sforzo bellico si (è) spostato dagli eserciti alla popolazione civile e l’obiettivo della lotta (è) l’imposizione di uno sforzo insopportabile alla popolazione civile (…) non sarebbe stato molto più conveniente attaccare questo centro di gravità, piuttosto che seguire un processo di logoramento da cui gli stessi vincitori sarebbero usciti esausti e in condizioni fallimentari esattamente come i popoli vinti? E la stessa sofferenza imposta al nemico, calcolata questa volta in giorni ed in settimane anziché in anni non sarebbe stata globalmente di gran lunga inferiore? Ed infine il timore di ricevere quei colpi mortali, contro i quali nessuna difesa appariva possibile, non sarebbe stato il deterrente più efficace per dissuadere ogni potenza che avesse in animo di infrangere lo stato di pace?” (Michael Howard,1976).Intendendo per “stato di pace” anche quel “nuovo equilibrio” generato da un atto di forza di una potenza nucleare nei confronti di uno stato non nucleare, assorbito totalmente o parzialmente nell’orbita della sfera d’influenza dello stato aggressore.

Per tornare al nuovo Trattato per la messa al bando (completo) delle armi nucleari -TPNW, esso contrasta le strategie decennali messe in campo dai paesi nucleari – militari, non risulta difficile pensare che per i paesi totalitari o pseudo democratici che dispongono di arsenali nucleari, l’opinione pubblica che ne reclamasse la firma e la ratifica sarà ininfluente per le sorti stesse del nuovo trattato.

Più grave il destino del Trattato di non proliferazione nucleare –TPN del 1968 che, benché firmato da tutti i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, e firmato da altri 186 stati, versa in uno stato di semi-abbandono: Israele, India e Pakistan non hanno ancora aderito, dopo il riesame del 1995 quando gli Stati Parte hanno concordato che “… the Treaty shall continue in force indefinitely … “, negli ultimi venti anni le conferenze di revisione quinquennali non hanno prodotto alcun risultato tangibile e lo stato di applicazione dell’articolo 6: “Ciascuna Parte si impegna a concludere in buona fede trattative su misure efficaci per una prossima cessazione della corsa agli armamenti nucleari e per il disarmo nucleare, come pure per un trattato sul disarmo generale e completo sotto stretto ed efficace controllo internazionale”, risulta essere praticamente all’anno zero: resta l’enigma di come le organizzazioni internazionali, i movimenti e i paesi pacifisti, abbiano potuto farsi attirare nella trappola del nuovo trattato ideale che però non verrà mai ratificato o firmato dai paesi strategicamente fondamentali, disinteressandosi del precedente accordo che nel complesso poteva anche non piacere, ma che risultava operativo e vincolante per buona parte dei paesi aderenti, anziché promuovere strategie utili per rinnovarne l’attualità, portarlo al suo pieno riconoscimento e alla ratifica dei paesi ancora solo firmatari.

Nella terra di nessuno creata dalla dicotomia tra i due trattati non è difficile immaginare che a trarne beneficio sarà la proliferazione nucleare orizzontale e verticale, del resto già in atto, con in più la novità delle armi nucleari tattiche, di fatto già derubricate dalla classe degli ordigni considerati vietati dalla pubblica coscienza a quella degli ordigni che sul campo di battaglia potrebbero svolgere una loro funzione, secondo alcuni pareri, giuridicamente ammissibile.

Del resto anche lo stesso Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari – CTBT del 1996 versa in uno stato di semi-abbandono, quasi dimenticato dall’opinione pubblica e da chi la potrebbe mobilitare in vista dei passaggi formali che ancora mancano per renderlo effettivamente esecutivo, a partire dalla ratifica di vari stati, tra i quali Stati Uniti, Cina e Federazione Russa che si è ritirata dal trattato nel Novembre 2023.
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