SETTIMANA ROSSA: I FATTI E LE IDEE

di Luca Guazzati –

I 110 anni che ci separano dai moti rivoluzionari della Settimana Rossa di Ancona suggeriscono riflessioni di ampia portata storica. Anzitutto è, questa, materia di approfondimenti recenti che ha visto diverse tesi di laurea e saggi che, dopo il centenario, hanno lasciato punti storiografici di notevole interesse politico. Naturalmente oggi poco paragonabili o confrontabili con le attuali forze politiche che ci sono nel Parlamento odierno.

Partirei dallo scontro di ideologie – tante – che fu al centro delle azioni di Ancona.

A Villa Rossa non si misurarono solamente il Repubblicanesimo rivoluzionario del “Nuovo Lucifero” di Nenni, gli anarchici del giornale “Volontà” di Malatesta, il Movimento sindacale che spingeva agli scioperi fomentati da un certo socialista di nome Mussolini, certamente i socialisti e i reduci garibaldini e ancora gli antimilitaristi, gli antimonarchici, gli anticlericali a la massoneria.

Il crogiuolo Ancona, in quel 1914, ha significato una prova di forza finita male, in tempi ancora acerbi che non permettevano organizzazioni ben orchestrate ma improvvisazioni sull’onda di passioni e reazioni scomposte, non in grado di arrivare ad irregimentare le manifestazioni di piazza.

Le “irregimentazioni” arriveranno, sì, di lì a poco e sulla scorta anche di questa esperienza: con la nascita del fascismo della svolta mussoliniana e poi nel 1921, con la fondazione del Pci.

Per capire quanto si è ancora “indietro” ad Ancona nel 1914, si narra che Malatesta dovette porre in vendita il suo orologio, per stampare volantini e dare il pane ai suoi “comitati rionali”, che Nenni ebbe il suo da fare contro i pacettiani della corrente repubblicana (ancora in possesso della voce tonante del Lucifero originale, tutt’altro che morto) e che lo stesso Mussolini allora si ritrasse subito dalle piazze, con i suoi fedelissimi, che ancora non davano certo l’impressione di “squadre”. Dunque solo una prova di forza, una prima spinta.

Di sicuro, a rendere quella “prova di forza”, che poi di fatto servirà solo a Mussolini, un episodio a sè stante, ci pensò il Sindacato, (se parliamo di Ancona in primis il sindacato ferrovieri, il più influente) – bloccando le manifestazioni di piazza. Era l’unico movimento all’epoca in grado di accomunare gli sforzi e organizzare quei gruppetti sparuti in massa rivoluzionaria.

Da una parte l’avv. Marinelli, di parte repubblicana, si sgolò nella Difesa al processo alla Settimana Rossa, affermando che a livello procedurale le accuse penali e l’atto istruttorio stesso dovevano decadere per “nullità”, che le testimonianze raccolte con la violenza non potevano essere prove e che il vero processo veniva volutamente fatto alle “intenzioni” e attraverso la raccolta di “voci pubbliche” piuttosto che sulla base di fatti comprovati.

Poi i verbali e i documenti parlano dell’intenzione di sovvertimento dell’autorità istituita, ma dopo che erano stati vietati i comizi e le piazze, dopo che venivano incarcerati noti esponenti rivoluzionari sulla base di semplici sospetti e con l’accusa, a verbale, di “vagabondaggio”! Insomma dopo chiare provocazioni della forza pubblica.

Dall’altra parte anarchica, gli avvocati difensori di Malatesta – Bocconi, Giardini, Ferri – arrivarono addirittura a sostenere che rispondere alle provocazioni non è fare rivoluzione, che invece gli anarchici certamente vogliono preparare ma con calma e “alla luce del sole colla propaganda elettorale, scritta, orale ma palese e firmata” mettendoci la faccia senza paura, anzi “cercando di metter pace e concordia fra i proletari ed affratellarli nella lotta contro il nemico comune. E tutto questo per quanto profondamente sovversivo nel fine, è anche perfettamente legale”. In altre parole: l’ideologia, l’obiettivo finale, l’intento e il fine ultimo non sono tangibili colpe e prove da portare localmente a processo giudiziario penale.

Come giudicare allora, nella “Settimana di Ancona”, quei Pensieri e quelle Azioni, quegli obiettivi, quelle ideologie? Ideali, personalità, determinazione e passioni che non ci sono più.

Uomini che credevano fermamente nella Politica, in qualche cosa che condizionava tutta la loro vita.

E’ qui che la Storia diventa Storicità e che ne possiamo trarre morale e insegnamento.