IL LUCIFERO STRUMENTO DI PROVOCAZIONE CULTURALE

Intervento del Prof. Roberto Balzani alla presentazione del Lucifero Nuovo a Roma

– Lucifero nasce nel 1870, prodotto da un gruppo di garibaldini che, fondamentalmente, cercavano di individuare una soluzione ad una situazione che, nel 1870, era abbastanza complessa. C’era stata la catastrofe di Mentana, la fine dell’illusione di poter arrivare a Roma con Garibaldi, e quindi, la fine della guerra di popolo, un’intera generazione di giovani che si era illusa di costituire una unità nazionale attraverso una costituente,  che era fuori del contesto del sistema, governava la destra monarchica col sistema censitario, i giovani non avevano una prospettiva. Aspetto questo molto importante, perché tutte queste forme di associazioni e anche delle pubblicazioni dell’area della sinistra radicale traggono origine da una contestazione giovanile violentissima che non è legata tanto al Mazzinianesimo e alla democrazia di tipo risorgimentale che era quello della generazione precedente, ma hanno origine dalla contestazione della nuova, sono “i nati troppo tardi”, quelli nati nel 1840-41-42 che avevano 18 anni, che non erano riusciti a partecipare alla spedizione dei Mille, che erano i fratelli minori dei garibaldini (soddisfatti perché avevano fatto qualcosa di grande) i quali si trovano a tentare l’ultima avventura a Mentana, ma si trovano distrutti. Sono prevalentemente dell’area centro-settentrionale, un’area ex stato pontificio che in qualche modo viene coinvolta in questa partita a livello di massa – abbiamo l’elenco dei garibaldini del ’67, vengono dalle Marche, dalla Romagna, dall’Umbria, mentre i garibaldini del 1860 vengono prevalentemente dal nord, la città da cui veniva il numero maggiore era Bergamo.

La fuoriuscita di questi ragazzi produce una grande delusione, nei confronti di tutti, anche dei vecchi maestri, che non sono più in grado di dare delle risposte. Mazzini pensa ancora all’insurrezione europea ma è fuori tempo massimo. Garibaldi è il grande sconfitto di Mentana, anche lui è un simbolo ma non è più l’uomo che concretamente può dare delle risposte. Allora questi ragazzi tornano a casa dopo la sconfitta di Mentana e tre mesi dopo il Parlamento italiano vota la legge sul macinato, cioè la tassa sul pane, una tassa pesantissima per i ceti popolari. Il Parlamento prende questa decisione perché ha bisogno di recuperare le enormi spese di guerra della guerra del ‘66 che era stata vinta soltanto perché i tedeschi, nostri alleati, avevano vinto tutte le battaglie mentre noi le avevamo perse tutte fuorché Bezzecca dove era andato Garibaldi.

Quindi contro lo Stato-mugnaio – come lo chiamava allora Il Gazzettino Rosa questo grande giornale della sinistra giovane scapigliata milanese – si mobilita un intero movimento sociale. Cominciano le proteste nelle campagne anche attraverso la distruzione delle macchine, perché la tassa, per conto dello Stato, la riscuoteva il mugnaio. Alle forti proteste, per le quali fu disposto l’intervento della Cavalleria con l’inevitabile conta delle vittime, seguì, dopo tre mesi, il primo grande scandalo della storia italiana: lo scandalo sull’assegnazione da parte dello Stato dell’appalto del monopolio dei tabacchi, importantissimo nell’Italia dell’epoca, ad un insieme di faccendieri – banchieri, amici dei banchieri, si parlò persino di una tangente a Vittorio Emanuele. Si scatena una delegittimazione della classe politica, di fronte alla quale la reazione dei questi giovani è in controtendenza rispetto alla strategia adottata dalla generazione precedente, una strategia elitaria, cospirativa, in grado di compiere delle azioni militari o paramilitari, comunque dimostrative. Questi nuovi giovani decidono, invece, di organizzarsi dal basso, iniziando con propaganda, proteste e scioperi fiscali e, attraverso queste azioni, provano a mettere insieme le persone. Nascono così nel 1872  la Consociazione repubblicana della Romagna e quella delle Marche, consociazioni gemelle, nate una febbraio e una a ottobre. Naturalmente inizia la competizione immediata con l’Internazionale: l’obiettivo è lo stesso, medesima molla ideologica che li porta in competizione immediatamente.

Se prendiamo il titoletto sotto il nome di Lucifero – nome che evoca il ‘Satana’ di Carducci e che, ovviamente, era una provocazione nei confronti della cultura ufficiale dell’epoca: fare una poesia a Satana, dedicare un giornale a Lucifero, tra l’altro con un disegnino che evoca il ratto di Proserpina, una cosa classicheggiante come era nello stile dell’epoca – se noi andiamo a leggere cosa c’e’ scritto sotto Lucifero, cambia tre volte in pochi mesi: prima c’è scritto Giornale repubblicano, interviene istantaneamente la censura e glielo cancellano subito; dopo un po’ c’è scritto Giornale, con i puntini di sospensione e con un punto interrogativo;  poi Giornale Giornale con il punto esclamativo. Era chiaramente una presa in giro, i nostri stavano prendendo per i fondelli il procuratore del Re. Dopodiché alla fine dell’anno decidono di cambiarlo in Giornale della democrazia radicale. Cosa vuol dire? Il progetto di protesta non può più essere declinato solo in termini esclusivi a favore della Repubblica o del sol dell’avvenire. Si manifesta una esigenza di mobilitazione di masse in senso radicale che deve portare all’associazionismo diffuso all’interno dei circoli. E’ questo un grande strumento. Dopo due anni è organo della consociazione. La protesta si era solidificata, quella che era stata una grande spinta di massa non si è esaurita nel grande momento magico del movimento, ma è stata intercettata dalle associazioni del territorio, su una scala non più comunale ma territoriale con la quale ostacolare il potere costituito. Il potere costituito aveva a una base municipale perché i signori della terra comandano il municipio e col collegio elettorale comandano la città. La sfida era, allora, combattere i signori della terra, in quanto soggetti forti nei singoli feudi. L’unica via era, allora, agire su un’altra scala spaziale: noi siamo deboli se presi sparsi, ma se ci mettiamo sull’area regionale tutti insieme contiamo di più. Fondano, così, l’idea territoriale di lotta politica, cosa che copierà Andrea Costa con il Partito socialista rivoluzionario di Romagna che, non dimentichiamo,  è il primo tentativo di territorializzare una lotta di classe, nel 1881. Ma ci hanno provato loro, romagnoli e marchigiani, praticamente nello stesso momento. In questo scenario ci chiediamo, allora, perché Lucifero sia rimasto, mentre i giornaletti romagnoli non sono sopravvissuti. Mentre il tessuto romagnolo era un tessuto di realtà cittadine equivalenti e competitive, nelle Marche l’attrattore di Ancona è stato riconosciuto come l’attrattore maggiore e quindi anche la stampa minore che pure esisteva nelle frazioni, era comunque volta a sostenere quello che il giornale di tutti, che era il Lucifero. E questo era anche il motivo per cui tanti giornali nati nel ‘70 in Romagna non esistono più e Lucifero, invece, ha tenuto, anche come memoria collettiva. Tanto è vero che nel ‘22 è stato soppresso per poi riprendere nel ‘45, gli anni di pubblicazione sono stati calcolati tenendo conto anche degli anni in cui non era pubblicato: ciò significa che le idee c’erano, non c’era il foglio ma è come se ci fosse stato nella nostra coscienza.

Venendo da questa storia qua è impossibile, quindi, non essere grati a coloro che hanno uno sforzo per tenerlo vivo, perché è la storia, l’origine del grande movimento sociale nella nostra terra, nel centro Italia cosi come si è sviluppato in quegli anni di cui nessuno più ricorda. Eppure, quelli che poi sono stati ricordati come ex garibaldini, ex mazziniani, in realtà sono stati dei giovani che avevano creduto in quelle cose, che hanno dato delle risposte organizzative totalmente nuove che hanno fondato i partiti di massa. Loro li hanno sperimentati, poi altri li hanno ripresi e copiati, il movimento socialista in primis ha utilizzato questa esperienza per farne qualcosa di ancora più grande. Allora se Lucifero vuole rappresentare qualcosa che vada oltre il sentimentalismo, il raccordo con una pur nobile tradizione, deve recuperare questo suo spirito originario, quello di far parlare giovani o non giovani, delle cose dell’oggi trattate in modo anticonformista, perché quella era stata la loro grande risorsa: non dicevano le cose che diceva il prete in chiesa, non dicevano le cose che diceva in consiglio comunale il signore della terra; dicevano le cose in modo diverso, una grande provocazione, di tipo intellettuale, culturale, sociale.

Abbiamo la forza di essere ancora dei grandi provocatori culturali in questo Paese? E’ questa la nostra sfida. Provocazione nel senso più nobile, studiando il problema, proponendo soluzioni alternative o stravaganti all’occhio dei benpensanti ma che probabilmente sono, magari in nuce, quello che potrà dare domani una risposta. Io credo che per rispetto a questi giovani che avevano la rivoluzione nella testa, noi abbiamo anche una occasione per tenere insieme l’elemento innovativo e quello tradizionale: l’anno prossimo c’è il 150° della battaglia di Mentana – un evento che tiene insieme Roma, la Romagna, le Marche, la valle Tiberina ovvero l’area di riferimento di questo grande movimento – e noi abbiamo la possibilità  di studiare, capire, ricordare la capacità di grande innovazione che questi giovani delusi e disperati, sono stati in grado di produrre. C’è un grande scrittore del secondo dopoguerra Giuseppe Dessì che diceva che in un paese cattolico come l’Italia si può essere solo in due modi, o conformisti o anarchici. Io ho sempre preferito gli anarchici.