Nel ’68 non ci fu scambio tra autorità e autorevolezza
Sono passati cinquatanni dalla contestazione del ’68 – troppo pochi per dare un giudizio – che, comunque la si pensi, non va né esaltata né demonizzata: è stata, per me, solo una formidabile pressione e una spinta utile – vide l’adesione convinta di migliaia di giovani – per far cambiare mentalità al Paese, ma evidentemente per le classi dirigenti del movimento, per sollevarsi da un regime oligargchico e condomininiale.
Al di là del nostro provincialismo, il ’68 è stata una lotta giusta contro la miope autorità, anche se poi si è dimenticato di sostituirla con la necessaria autorevolezza, e il “potere” di allora l’ha inglobata con una porta flessibile – un potere che non ha mai legittimato il suo avversario (ora si tenta di praticarla con chi lo ritiene opportuno), non ha pensato all’alternanza di Governo come un naturale ricambio della democrazia: ogni lotta, ogni movimento partecipativo, anche se lo riteniamo sbagliato, fa crescere la democrazia.
Se vi è stato un limite nel ‘68 è stato quello di considerare tutti uguali e non il merito, di avere innescato una violenza fine a se stessa (non voluta), che portò al condannato e condannabile terrorismo nostrano e alla morte di molte persone tra cui Bachelet e Moro (in questi giorni è morto il Giudice Ferdinando Imposimato che seguì indagini irte di ostacoli come ad esempio quella di Moro dicendo che le brigate rosse sono state sostenute dai servizi segreti stranieri, e su le mafie: “ho ricordato in fabbrica a Caserta, assieme al Vescovo di Acerra don Riboldi, il fratello Franco, dirigente sindacale della Cgil, assassinato in terra di camorra”), delitti che politicamente non perdonerò mai.
Per quanto mi riguarda non ho alcuna nostalgia sessantottina – non partecipai a quella stagione come tanti sindacalisti, perché il mio bagaglio culturale veniva dalla rivoluzione Francese, dalla sinistra Risorgimentale, dalle società operaie e dalle mutuo-soccorso, dalle speranze del ’63 di John Kennedy e l’impegno per l’uguaglianza delle razze di Martin Luther King “I have a dream”: se c’è stato un merito del ‘68 è quello di aver messo sul banco degli “imputati” gli sfruttatori.
Il fenomeno del ’67-’68 fu non solo Europeo e si scontrò in Italia con una classe politica, in larga maggioranza, debole e impreparata – in Francia e Germania ci fu un confronto indiretto con il movimento, ma condito dai rispettivi Governi da obblighi ed idee: anche in Italia si venne ai patti con la contestazione, ma senza contenimento della spesa pubblica già fuori controllo, con evidenti complicanze sull’economia, anche per una gestione assembleare delle Camere, e non sapendo chiedere doveri a fronte delle concessioni fatte.
Il ’68 non fu una pagina bianca senza punteggiatura, tanto è vero che negli anni seguenti vi furono profondi cambiamenti sociali e civili (i referendum per il divorzio e l’aborto): un ampio piano di case popolari, lo statuto dei lavoratori (1970: invecchiatosi in quasi cinquantanni di vita), e molti anni dopo (1978) il Servizio Sanitario Nazionale gratuito, anche se quel vecchio vizio di scambiare uguaglianza con equalitarismo (chi ha grandi redditi dovrebbe pagare, perché non siamo tutti uguali) è rimasto negli ingranaggi della nostra società facedo sì che i meno abbienti paghino le conseguenze dei costi aumentati della sanità.
La scuola (salvo l’imposione momentanea del sei politico le cui conseguenze furono disastrose) non ebbe alcuna riforma, perché coincisero le esigenze dei “ professori baroni universitari” con quelle dei sessantottini: “i vecchi hanno bisogno della competenza dei giovani, ma i giovani hanno bisogno del pensiero, autenticamente liberale dei vecchi”.
Oggi il Paese si è fortemente trasformato e migliorato, ma sicuramente la sua fotografia è quella che il cittadino è diventato più individualista, meno rispettoso –senza generalizzare – della gente. Abbiamo subito una forte crisi economica che ha inciso sull’occupazione tradizionale – pare che si stia superando, lo conferma l’Istat (ufficio di statistica centrale). Il guaio peggiore è che si è allargata la forbice tra ricchi e poveri ed è aumentata la rendita improduttiva, anche se sono diminuite le tasse.
I giovani, sono certo, che sono migliori di noi, costruiranno il loro futuro, senza paura in una Europa libera da pregiudizi e abbracceranno il mondo, meglio di quello attuale.
Giulio Lattanzi