“LA POLITICA FISCALE DISCRIMINANTE”
di Francesco Pontelli
– Tratto da “Il Patto Sociale” -Informazione Europa n.364 dell’ 11 luglio 2019 pubblichiamo molto volentieri questo articolo dell’ economista Francesco Pontelli che indica la strada di una più organica e complessiva strategia di politica fiscale, sia per diminuire il danno del peso contributivo eccessivo su lavoratori, famiglie ed imprese sia per evitare che singoli interventi anziché favorire aumentino iniquità e discriminazioni.
L ’Italia ormai rappresenta il festival del paradosso sempre più declinante verso un sistema economico-fiscale feudale. In altre parole, si evita da decenni di valutare le problematiche nella loro articolata complessità affrontandone un singolo elemento al fine di ottenerne un pubblico riconoscimento.
In questo senso risulta emergenziale, e non certo da oggi, il problema dell’esodo giovanile di laureati e diplomati verso i paesi, specialmente del Nord Europa, che rappresenta, certamente molto più del calo demografico, la vera fotografia del declino politico economico del nostro Paese.
Entrambi, sia l’esodo delle giovani generazioni che il calo demografico, sono l’espressione oggettiva di una mancanza di fiducia nel futuro a medio e a lungo termine del nostro Paese. Valutando, per ora, il solo fenomeno dell’esodo giovanile, anche per offrire una visione della “produttività” della spesa pubblica, va comunque ricordato come lo Stato investa circa 92.000 euro di pubbliche risorse per portare i giovani italiani al diploma ed altri 30.000 per ogni anno universitario successivo fino alla laurea.
Il frutto di tali investimenti pubblici, non trovando alcuno sbocco all’interno di un sistema del lavoro bloccato in un mondo nel quale l’unica strategia aziendale (va riconosciuto) è quella di abbassare il CLUP (costo del lavoro per unità di prodotto) inevitabilmente abbandona il nostro Paese, offrendo ai paesi esteri, che sanno premiare tali professionalità a costo zero, le potenzialità che questi giovani esprimono.
In questo contesto emerge evidente come questi giovani vadano a cercare all’estero una prospettiva di sviluppo professionale ma soprattutto contratti adeguati alla propria formazione e che si esprimano in retribuzioni decenti.
Tutti i governi dell’ultimo decennio (all’interno del quale questo fenomeno ha preso via via sempre maggiore rilevanza) hanno affermato di voler affrontare il problema, salvo poi lasciare tutto invariato o quasi. Anche questo governo in carica, infatti, si allinea con i propri “comportamenti politici” ai precedenti promettendo ancora una volta una serie di sgravi fiscali per riportare in patria “giovani emigranti culturali e professionali italiani”.
Questa decisione è figlia di una visione obsoleta e soprattutto discriminante in quanto crea due ordini di ingiustizie fiscali e politiche. Innanzitutto vengono marginalizzati fiscalmente ancora una volta i giovani rimasti in Italia in cerca di fortuna e che magari non abbiano potuto usufruire di una opportunità all’estero.
Questi, infatti, subiranno un trattamento fiscale penalizzante rispetto a chi usufruirà della nuova fiscalità incentivante per favorirne il rimpatrio. Inoltre i giovani che, pur avendo conseguito un titolo di studio, non hanno avuto la possibilità di espatriare diventeranno loro malgrado (ed ecco la seconda ingiustizia) economicamente e fiscalmente più costosi rispetto ai propri colleghi rientrati in Italia.
Queste iniziative fiscali dei governi degli ultimi vent’anni anni dimostrano ancora una volta come il vero ed unico problema venga ancora oggi rappresentato dalla pressione fiscale nella sua complessità.
Questa tuttavia, rappresenta il veicolo di finanziamento di una delle due vere forme di potere in Italia: la spesa pubblica che, assieme al gestione del credito, rappresenta la vera diarchia ( https:// www.ilpattosociale.it/2018/11/26/ la-vera-diarchia/). In più queste scelte prettamente politiche, che tendono a creare categorie privilegiate fiscalmente, evitano di affrontare il problema generale relativo alla pressione fiscale e pongono le basi per una sorta di riconoscenza elettorale per i privilegi fiscali ottenuti.
Un sistema fiscale che intenda sanare determinate posizioni e recuperare nuove risorse dovrebbe partire dalla rinegoziazione di posizioni con i contribuenti che già hanno dato dimostrazione di ripianare le proprie posizioni fiscali con grande sacrificio e magari ricorrendo addirittura al debito.
Viceversa, ancora una volta, per il puro interesse economico si intendono privilegiare con “voluntary disclosure” di varia natura solo ed esclusivamente gli evasori totali nella migliore delle tradizioni delle politiche fiscali italiane in atto da oltre trent’anni anni.
Affrontare un problema complesso come quello del raggiungimento di un equilibrio tra fiscalità e spesa pubblica con visioni settoriali rappresenta uno dei motivi della continua crisi che avvolge il nostro Paese da oltre trent’anni anni ribadendo come la nostra sia una crisi culturale.
Ormai risulta ampiamente superato il senso del paradosso più assoluto declinando miseramente verso un reale stato di ingiustizia fiscale.